Sapere è assaggiare

“Il cucinare è uno sperimentare e uno scoprire, una inventio che, sebbene non sia una scienza, è certamente un’arte. Nell’arte culinaria gli elementi sono dati, ma per metterli insieme occorre sperimentare, scoprire e vedere quello che “sta meglio” e quello che “sta peggio”, occorre “aggiustare” la cucina.

La ricchezza e l’ampiezza dei sapori concerne un’attività dello spirito all’insegna del piacere che costituisce la vera e propria misura del cucinare: il gusto. Con il termine “gusto” si intende un piacere connesso a una “scienza del piacere” che consiste nella sperimentazione attraverso la quale l’uomo trae dagli elementi della natura il massimo del piacere possibile. E chiaro che questa dimensione di spiritualità varia a seconda del contesto e delle culture ma, se ci si attiene al punto di vista antropologico, uno dei primi atti umani connessi a un sapere (sapere che ha a che fare con sapere, sapio, “assaggiare”) è il gusto. Esso si configura, inoltre, come elemento destinale del cucinare insieme al nutrire che lega a se’ il gusto, dal momento che, laddove c’è gusto, c’è una disposizione a nutrirsi migliore, più raffinata, più qualificata (anche se non complicata) che consiste nel cogliere una proprietà specifica e sfruttarla. Da questo punto di vista è importante notare quella sobrietà degli antichi che consiste nel riconoscere un gusto della natura nella sua elementarietà: mangiare erbe amare, così, può essere una cosa gustosissima, tutt’altro che astinente e che piuttosto mette in gioco un problema di scelta e selezione che noi stessi facciamo. Dal punto di vista del gusto è importante l’apprezzamento della qualità mediante l’intelligenza che costruisce e riconosce una proprietà specifica in funzione del piacere”

Salvatore Natoli – Il cibo dell’anima – Edizioni Albo Versorio, Milano 2013