Cuore di cuoco

“Il cuoco non può essere inappetente. Un cuoco deve amare mangiare e mangiare anche il cibo che cucina. lo non mangio mai quando lavoro, così ho sempre fame e ho voglia di mangiare ogni piatto che cucino, e allora lo cucino meglio.

Un’altra cosa è il concetto di unità del cibo, nel senso che anche il cibo esprime una sua volontà di potenza: una cosa è servire un polipo affogato, intero, un’altra delle gambette di polipo tritate. Ho sempre aborrito i pasticci, gli sminuzzamenti, dove si trita tutto e non si distingue più cosa si mangia. I bocconcini di pollo, che sono costretto a cucinare anch’io per comodità del cliente, sono molto meno buoni di un pollo intero.

Io non servo filetti di orata o filetti di branzino: servo un’orata, un branzino o un’aragosta interi. È una questione di rispetto per il cibo che mangiamo. Odio gli assaggini.

Consiglio di mangiare una cosa sola, precisa e abbondante. Poi, eventualmente, di cambiare gusto con un’insalata o un dolce. Evitate assaggini, antipastini, stuzzichini, tutti quegli “ini” che annullano la voglia di mangiare il cibo, quello vero.

Con il cibo, bisogna agire di potenza.

Sospettate delle preparazioni fantasiose. Il cliente abbia il diritto di vedere e capire cosa mangia, e di preferire, come me, la dignità di un’aragosta intera all’aragosta sminuzzata o sgusciata con pomodorini, zucchini o altro. Non dimenticate mai la dignità di un’aragosta intera. [………….] Mi imbarcai a Genova per una crociera di venti giorni sull’ammiraglia della Linea Costa, l’Eugenio C, destinazione Cotunu in Dahomey, Africa Nera.

A bordo ebbi l’occasione di visitare le cucine, e di vedere soprattutto le enormi celle frigorifere stracolme di verdure, quelle necessarie per un viaggio di un mese di 1500 persone. Tonnellate di verdura fresca che deve restare fresca dall’inizio alla fine del viaggio per tutti quei passeggeri ben paganti. Un’altra cosa che mi colpì fia l’abilità degli scultori del ghiaccio, per la decorazione e la presentazione ai passeggeri dei piatti speciali. Per il resto, la cucina era di alto livello, internazionale, ma priva di personalità. È normale, così dev’essere.

Quello che voglio ricordare: sbarcammo a Dakar, Senegal, per qualche ora, giusto il tempo per mangiare qualcosa di vero. In compagnia di altre cinque persone, finii in un ristorante sul mare, traballante su palafitte perché l’oceano fracassava onde in continuazione, e faceva caldo, e la notte era scurissima, come capita da quelle parti.

Finalmente arrivò in tavola la loro specialità: un enorme vassoio con dieci aragoste a testa, eravamo in sei, da mezzo chilo ciascuna, tutte perfettamente grigliate. Nessuna salsa, nessun contorno. Cotte alla perfezione, Freschissime. proprio quello che desideravo dopo gli infiniti salamelecchi del maître di bordo. Divorai le aragoste a piene mani.”

Volfango Soldati – Cuore di Cuoco – Hobby&Work