DELLA CUCINA RAFFINATA

“Mi spiace ammetterlo, ma francesi sono figli di grandi ristoratori, noi di piccoli trattori. Ed è tutta colpa di Monsieur Boulanger. Vendeva bollito e brodaglia ai parigini e nel 1765 ebbe l’idea di offrire loro anche dei piedini di montone in salsa bianca. Che potrebbero disgustare noi, ma ai tempi riscossero un tale successo che perfino re Luigi XV corse a provarli. Per pubblicizzare il suo locale, il geniale imprenditore usò le parole di san Matteo e appese sulla porta un cartello: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò ”. Monsieur Boulanger, però, possedeva solo la licenza per vendere bollito e in teoria non avrebbe potuto cucinare altro. Dunque, qualche collega invidioso lo denunciò; lui vinse il processo, sfruttò la fama che gli era derivata dal caso giudiziario e così nacque il primo “ristorante” della storia. Ora. Fino a quel momento non ne esistevano perché i nobili erano i soli a concedersi i piaceri della tavola e a palazzo avevano grandi equipe di cucina e di pasticceria che si tramandavano il mestiere di padre in figlio. Quando cominciarono a cadere le prime teste e la Rivoluzione francese divampò in tutto il paese i cuochi si trasferirono a Parigi, dove, grazie a Monsieur Boulanger, chiunque ormai poteva cucinare quel che gli pareva. E i piatti degli aristocratici divennero delizie nazionali alla portata di quasi tutti. Nel frattempo, in Italia, i fiorentini si vantavano ancora di Caterina de’ Medici, donna ghiotta e sofisticata che aveva sposato Enrico Valois aveva insegnato ai francesi a usare la forchetta oltre che a preparare una manciata di piatti toscani. A Parigi si metteva a tavola il popolo, da noi qualcuno se la tirava ancora per qualcosa che era accaduto ben duecentocinquantasei anni prima della Rèvolution. Laggiù si parlava di égalité, liberté, fraternité e noi stavamo ancora a scannarci sull’origine della succulenza. Oggi l’Italia ha infiniti piatti locali, ma non ha una cucina nazionale forte, perché siamo stati divisi in piccoli staterelli fino all’altro ieri. “Questo, però, è un valore aggiunto”, si affanna a precisare Alain Ducasse. “Le vostre massaie hanno salvato silenziosamente la memoria di certe specialità regionali irresistibili. Il vostro paese ha una cucina femmina, mammarola. Inimitabile.”

Ilaria Bellantoni – Lo chef è un dio – Feltrinelli