IL POLLO

“Per un minuto buono, e per un tratto notevole, il pollo senza testa sgambettò attorno al cortile prima che i suoi nervi cedettero e si esaurissero, e l’uccello cadde immobile su alcune foglie morte marroni. Questo spettacolo fu davvero sconvolgente, anche se io ero abituata perchè da piccola ero stata diverse volte alla Kutztown County Fair, dove i mennoniti e altri agricoltori della Pennsylvania rurale si riunivano per vendere scrapple (pasticcio di avanzi di maiale, contorni e farina di granturco), orecchie e piedini di maiale in salamoia, uova con doppio tuorlo e funnel cake (dolce di carnevale America del nord). Tizi barbuti con le bretelle macellavano polli vivi e li lasciavano scorrazzare nel recinto con le teste mozzate prima di avvolgerli nella carta e consegnarli ai clienti.

Gli altri polli nel recinto, ora stagliati contro il cielo che si faceva scuro, ripiegarono nel pollaio per passare la notte. Mio papà chiuse la porta della cucina e accese il forno.

È davvero qualcosa di speciale entrare a mani nude nel sedere di un animale e rimuovere le sue calde budella. La prima volta è sorprendente vedere come siano attaccate delicatamente.

Da allora, ho infornato a fuoco basso innumerevoli maialini da latte — rosa, con occhi blu indagatori — dello stesso peso e taglia di un bracchetto inglese — per arrostirli durante la notte in modo che la pelle diventasse croccante le loro ossa non ancora del tutto formate si sciogliessero nella carne, diventando succulenti e appiccicosi. Ho macellato cento chili di mezzene di bue fino ai loro tagli principali, ho tagliato e asportato la lingua dalle teste di capre, legato interi agnellini con file di denti storti a spiedi di frassino e li ho sistemati accanto al quartetto di persone su tizzoni ardenti, e disossato lombi e cosce di conigli interi che — persino scorticati — sembravano esattamente dei coniglietti. Ma all’epoca dell’uccisione del pollo, ero ancora giovane e non abituata.

Recuperai il pollo dal suolo gelato e gli legai le zampe prima di appenderlo a un ramo basso di un albero affinchè gocciolasse sangue. Dopodiché entrai in casa e misi sul fuoco una pentola blu smaltata per aragoste piena d’acqua. Una volta che il volatile perse tutto il sangue, lo immersi nell’acqua bollente per ammorbidire le penne. Seduta fuori sui gradino sul retro nella pozza gialla di luce proveniente dalla finestra della cucina, strappai le penne del pollo, due e tre alla volta. Una volta finito, l’uccello mostrava dimensioni ridotte in un modo che non avevo previsto. Le sue viscere uscirono con un semplice strattone; una piccola manciata di gioielli insanguinati e della consistenza del fegato che gettai nel cortile buio.

Esistono due cose che non dovreste mai fare con vostro padre: imparare a guidare e imparare ad ammazzare un pollo. Non credo che dovreste sedere uno di fronte all’altro a mangiare il pollo arrosto, ognuno in un silenzio pieno di risentimento, ma noi lo facemmo, e la carne, come da copione, era sgradevolmente legnosa.”

Gabrielle Hamilton – Sangue, ossa e burro – L’educazione involontaria di uno chef – Bompiani